"Il genius loci" di Francesco Bevilacqua
[…] Il paesaggio alle pendici del colle su cui sorge Catanzaro e della Fiumarella che vi scorre alla base formando splendide gole […] ha a prima vista quella peculiare caratteristica dei paesaggi “perduti” che mi piace definire colmi di un silenzio eloquente. Vi grava cioè una sorta di oblio semiologico, una specie di senilità topografica, un’apparente cancellazione di contenuti storici, relazionali e identitari che parrebbero rendere quei luoghi dei “non- luoghi” nel senso spiegato dall’antropologo Marc Augé in un suo famoso libro.
Se fossi un antico romano, o anche uno di quegli strani rabdomanti che ancora viaggiano in cerca della bellezza sovrannaturale dei paesaggi, potrei dire che si fa fatica a percepirne il Genius Loci, che per gli antichi romani era il nume tutelare del luogo e ne incarnava la personalità, l’individualità, la sacralità, l’essenza stessa.
Se, tuttavia, capita, come è capitato a me, di addentrarmi in un pezzo di questo paesaggio perduto, quello al quale, non so chi in particolare, ha dato l’emblematico nome di “Parco della Biodiversità” – spiegandone così, fin dall’inizio, la sua funzione pedagogica e scientifica – ecco che come d’incanto si assisterà al miracolo del risveglio. Mi piace definire questi fenomeni, in cui un paesaggio, da uno stato letargico torna ad essere abitato dal suo Genius Loci, come “cliniche dei risvegli”, mutuando la definizione dalla medicina. Queste esperienze singolari finiscono con il divenire incubatori di buone pratiche da un lato (inducendo altri amministratori a fare la stessa cosa nei loro territori) ma anche veri e propri strumenti di riorientamento per cittadini privi di bussola che avevano dimenticato di poter contare, a poche centinaia di metri dalle loro case, di luoghi così preziosi per la loro memoria, per la loro identità e per la loro stessa qualità di vita.
[…] nella società cosiddetta industriale (in senso lato) la modernità è stata caratterizzata dalla vittoria dell’artificiale sul naturale. La gente si è sempre più inurbata abbandonando i piccoli paesi e le campagne (anche grazie al fenomeno della epocale emigrazione di masse contadine dal Sud rurale verso il Nord industriale). […] Pier Paolo Pasolini intuì in modo direi quasi profetico questo processo epocale definendolo, nei primi anni Settanta del secolo scorso, come una vera e propria “mutazione antropologica” . […] egli percepiva la grave perdita di valori, di saperi, di identità che scompariva insieme alla civiltà contadina italiana, abbattuta dal furioso maglio dello “sviluppo” ad ogni costo, omologante, consumistico ed edonista. È un fatto che quella mutazione antropologica sacrificò sia il paesaggio che i luoghi […] e ci ha restituito un Bel Paese alquanto abbruttito e sfregiato. […] 
Eppure, nonostante la devastante colata di asfalto e di cemento, nonostante l’onda anomala del consumismo e dell’omologazione culturale, è ancora possibile convincere il Genius Loci ad uscire dai suoi rifugi oscuri, tellurici, ctoni ed educare generazioni di insider, dimentiche delle proprie relazioni con i luoghi, a curare la loro apparentemente inguaribile miopia.
E questo è esattamente ciò che si è fatto, con successo pieno e inatteso, attraverso la realizzazione del Parco della Biodiversità a Catanzaro: un non-luogo, dimenticato, abbandonato, usato come discarica, non più fruibile, irriconoscibile, è stato riscoperto, studiato, accudito, reinterpretato, restaurato, riempito di contenuti vecchi e nuovi ed infine restituito alla comunità.
Quel che sorprende è come gli elementi che in parte naturalmente, in parte per scelta, compongono il puzzle del parco, interagiscano tra loro e lavorino per uno stesso identico scopo: le aree-giardino attrezzate per i bambini o per gli sport e gli esercizi fisici, i sentieri, la raccolta di arte contemporanea all’aperto, la stessa scuola agraria, il centro recupero animali selvatici, i recinti faunistici, il museo militare. Lo scopo è semplice: convincere innanzitutto la gente del luogo, che magari pensava di risiedere in una città senza verde pubblico ignorando che fosse mai esistita una osmosi con il contado che anticamente la circondava, che, invece, Catanzaro, conserva ancora una strabiliante e vasta memoria reale e viva di quel paesaggio in un luogo fisicamente vicino all’abitato eppure denso di ricordi e di identità. 
Ma non ci si è limitati a una pura e semplice ricostruzione di quanto c’era un tempo nella grande area del parco: ognuno di noi sa quanto perniciose sono queste operazioni di pura imbalsamazione di luoghi fortemente antropizzati e così a stretto contatto con le città. Si è invece proposta una fruizione nuova,plurale del parco, confacente ai tempi, pur rispettandone l’identità estetica […]. 
Quel che l’osservatore occasionale vede nei giorni feriali o in quelli festivi al parco è sintomatico: gente che passeggia, famiglie che portano i bimbi a giocare nelle aree a ciò predisposte, gruppi di ragazzi che fanno sport nei campetti attrezzati, bikers che pedalano in mountain bike, persone che fanno jogging, qualcuno che legge i giornali seduto su una panchina, scolaresche che visitano il museo, qualcuno che guarda incuriosito le sculture nel parco, bimbi che vedono per la prima volta un cigno o uno scoiattolo, i veterinari del centro di recupero che accudiscono gli animali feriti, qualcuno, infine, che, percorrendo la parte più impervia dei sentieri, scenderà ripidamente verso la Fiumarella, tra macchie di lentisco e di filirrea, tra grandi pini domestici e annose sughere, tra i segni delle antiche miniere di barite e pittoresche vedute sulle gole fluviali. 
E tuttavia, chi viene qui per la prima volta, indigeno o meno che sia, quasi sempre si chiederà: non avrei mai immaginato che Catanzaro esistesse un posto simile! […] Finalmente Catanzaro non è solo il luogo dove da tutta la regione affluisce gente infastidita dalla burocrazia che viene a sbrigare faccende negli uffici pubblici, dove per trovare un parcheggio devi raccomandarti a un santo, dove devi calcolare almeno un’ora più del previsto per districarti nel traffico, dove l’anima della città (il suo bellissimo centro storico) è stata umiliata da un sarcofago di cemento. 
Catanzaro è, finalmente, una città normale, dove la bellezza ha modo di lasciarsi ammirare e può contagiare.


"Un Parco molteplice e diverso" di Fulvio Pratesi

La visita al Parco della Biodiversità Mediterranea di Catanzaro suscita diverse e confortanti suggestioni, cui fa da legame proprio il concetto di “diversità” contenuto nel nome.
… tra i vari segnali concernenti questo passaggio mediato tra l’uomo e la natura spiccano gli antichi olivi sopravvissuti alle colture della vecchia Scuola Agraria; o il laghetto popolato da uccelli domestici assieme ad altri selvatici; o la commovente Città degli Scoiattoli, roditori tipici delle selve aspromontane e silane; o infine i tanti uccelli rapaci (sconosciuti ai più e ancora malvisti nelle campagne) che affollano le voliere del Centro di Recupero Animali selvatici.
Ma un’altra utile intermediazione e sensibilizzazione di grande importanza attuata dal Parco è quella tra i visitatori e la scultura moderna.
Questa – vista quasi sempre da un pubblico non specializzato come un’accozzaglia di conati autoreferenziali sublimati in eccessi gratuiti e spesso repellenti (animali in formalina, bambini impiccati ecc.) - nel Parco della Biodiversità si esalta in opere comprensibilie accattivanti, oltre che bellissime, dei più noti autori moderni. Capolavori oltretutto magistralmente immersi in un paesaggio rasserenante e aprico, denso di suggestioni visive, dal pergolato di glicini alle siepi di rose, dal labirinto alla cavea, dagli scultori tronchi degli olivi vetusti, alle verdeggianti distese prative. Non infarcite queste ultime di invadenti ed eccessive presenze arboree come capita spesso in altri parchi urbani o periurbani creati spesso in maniera dilettantesca o sulla scia di necessitò episodiche.
… 
Sono questi i boschi – ancorchè oggi confinati nelle pendici più impervi e precipiti non atti all’agricoltura e all’insediamento -che accolsero i primi abitatori di questi luoghi già nel Paleolitico.
Un insieme variegato e multietnico composto da essenze tipicamente proprie della macchia foresta sempreverde mediterranea, con immense sughere dalla cortecciascrepolata, grandi lecci oscuri, roverelle possenti, ontani amanti delle rive, ornielli dalle fioriture leggere, dominanti su lentischi aromatici, allori lustri, corbezzoli splendenti, viburni dalle bacche color acciaio brunito,citisi gialli e cisti candidi, eriche arboree e filliree coriacee.
Accanto a queste espressioni autoctone e ai loro margini, ecco i migranti: i pini domestici introdotti per gli usi della flotta romana, eucalitti australiani piantati contro la malaria e per puntelli da miniera, fichi d’india messicani, robinie americane, cedri dell’atlante e ailanti cinesi in solidale e tollerante unione con le ruvide specie dell’originario forteto mediterraneo che predomina incontrastato. E alla cui ombra fioriscono ciclamini purpurei e mammole violette, valeriane rosse abbarbicate alle rupi e tante altre specie minori, in continua apparizione a seconda delle stagioni.
Un altro legame tra natura e uomo, basato sugli aspetti geologici, s’incontra alla fine del sentiero che percorre la Valle dei mulini: la vena di barite, utilizzata da una miniera fino a non molti anni addietro, offre al visitatore la sua chiara e pesante pietra a tratti marezzata da essudati cromatici provenienti da minerali inclusi nel suo seno. Verde malachite la calcopirite, rosso cinabro gli altri minerali presenti e variegati.
Ulteriori elementi che aggiungono valore a tutto il complesso, sono il Centro Ippico con i suoi cavalli e il Museo Storico Militare. Cavalli e divise, trincee e ostacoli da concorso, armi e scuderie, sono anch’essi legati da suggestioni e ricordi che fanno del Parco della Biodiversità Mediterranea qualcosa di unico nel panorama del nostro Meridione.


"Gli alberi non crescono fino al cielo" di Daniela Pietragalla
Con poche, semplici parole – quasi una tautologia – il poeta tedesco Goethe, nelle pagine autobiografiche di Poesia e verità, afferma la necessità di tenere a mente i limiti fissati dalla natura e destinati a persistere malgrado il progresso delle sorti umane. Lo stesso motto, più tardi, diventa il titolo di un saggio del celebre paleontologo Stephen Jay Gould, autore, insieme a Niles Eldredge, della discussa teoria degli “equilibri punteggiati”, ovvero di un andamento della biodiversità sulla terra tutt’altro che lineare e uniforme (come indicherebbe Darwin), fatto invece di periodi di equilibrio piuttosto lunghi, “punteggiati” da improvvise interruzioni, un susseguirsi, dunque, di lunghe fasi statiche interrotte da improvvisi salti evolutivi causati da drammatici cambiamenti ambientali che minacciano la biodiversità stessa riducendola drammaticamente. Così, la semplice riflessione sull’evidenza che in nessun modo gli alberi possono raggiungere il cielo ci costringe a richiamare
alla memoria il senso di un limite, sempre di più ignorato dall’uomo. E dal momento che la biodiversità non è altro che la ricchezza di vita sulla terra, ogni qualvolta si attua un tentativo di sottrarre i beni comuni non rinnovabili a un processo di perdita irreversibile attraverso la tutela degli ecosistemi, si pongono effettivamente le condizioni per uno sviluppo sostenibile del pianeta.
In questo senso, il recupero dell’area dell’Agraria (per utilizzare un termine assai familiare ai catanzaresi) acquista il valore non di semplice riqualificazione del verde urbano bensì di una progettazione radicalmente nuova, volta a valorizzare il patrimonio ambientale esistente in tutte le sue implicazioni e potenzialità. Infatti, il Parco della BiodiversitàMediterranea, nella sua complessa e multiforme identità, sembra corrispondere nei fatti a quella che era stata la suggestiva idea di partenza: la realizzazione di un grande polmone verde in grado di offrire benefici sia ambientali sia socioculturali.

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